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sabato 7 aprile 2012

Sfiorarsi

La sua vita era stata annientata in un attimo. Nel suo cervello andavano affermandosi sempre più tre  parole: “sei ancora qui”.
Si era reso conto della malattia un giorno d’autunno e di nuvole. In quel giorno, a cielo chiuso, si accorse di afferrare  male alcuni oggetti. Il sole si spense per sempre.
Quando fu pronto andò all’incontro con il male, sfidò il morbo e trionfò.
Le sue gambe diventarono come due tronchi scombinati, sorprendentemente sicure.
Il bastone si aggrappava all’aria, ballava la tarantella, afferrava la sicurezza  per affidarsi infine alla Divina Provvidenza.
I piedi erano due ventose perfette, andavano alla cieca, ma non sbagliavano mai.  Si attaccavano al terreno, alle scale, erano artisti per una platea di curiosi.  
Quella sera li appoggiò all’ombra del bancone del bar, per non mostrarli a nessuno, ma quella sera se li trovò incerti. Percepì un odore di femmina.
Lei era seduta con le gambe accavallate, lunghe ed esili. Delicata, di fragile bellezza, sorrideva appena, racchiusa nel suo silenzio. Avvolta negli inquieti fumi delle sigarette, sembrava una ninfa smarrita nelle nebbie.
Si avvicinò a lei,  un’andatura indurita accompagnava i suoi passi, il dolore al ginocchio lo faceva zoppicare ancora di più. La grappa e la paura gli fumavano in testa.
Fu sorpreso ad annusare l’aroma degli ormoni e dei sogni. Stava affannando, non era solo sforzo, ma un principio di rinvigorimento. La musica suonava un inno d’amore e di sofferenza.
Poi la vide danzare.
I tacchi rossi sfavillavano nel ritmo furioso. I capelli color grano ondulavano lungo la schiena. La spalla nuda e bianca rapiva sguardi annebbiati dall’alcool.
“Vieni a ballare con me” - disse con la voce spezzata da un crampo.
Non era più abituato a stare davanti a una donna, gli dava quasi fastidio l’odore profumato con cui lei marcava l’aria. Le si appoggiò, si dimenticò del bastone.
Sfiorarle la mano provocò un’esplosione dentro di lui. Il contatto con le dita era la spudorata intimità mascherata da forma-di-saluto. Si guardò la mano e la mise in tasca. In macchina la passò più volte sul volante, non per cancellare, ma per conservare quel contatto.
Era come un avvoltoio, sempre pronto a catturare una preda. Una straniera con un comportamento diverso, secondo lui spudorato, avrebbe dovuto essere più facile da conquistare.


Come tutte le ragazze, sognava di essere rapita da un principe azzurro per rifugiarsi nel verde sconfinato della foresta sensuale, ornata di brillanti. Non si rendeva conto che quell’intenso desiderio di trovare l’Eden faceva di lei cibo per predatori e fin troppo facilmente attirava su di sé promesse di agio.


Lui non rispecchiava per niente l’uomo dei suoi sogni. L’unico pregio, che riscattava i suoi innumerevoli difetti, era l’infinita gentilezza. Pensava ai mercanti di fumo che finora aveva incontrato, ma questa volta le sembrava tutto diverso.
Forse per la sua condizione fisica si illudeva di trovare qualcosa in più, forse un essere umano.
Una leggera inquietudine, dettata dal suo istinto, la metteva in guardia contro la tentazione di avvolgerlo in un’aura romantica, ma si faceva lo stesso adescare dai mille gesti cortesi di cui la circondava.

Era inginocchiato sopra di lei che guardava oltre lui, occhi abituati alla luce.
Seguì quello sguardo, ma vide il buio.
Cercò di sfiorarle la mano … non la trovò.


                                                                                                                          Daniela Karewicz

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