CONSULTA REGIONALE
FEMMINILE
DELLA VALLE
D’AOSTA
Più di 500 opere giunte dalle numerose località dell’Italia, Francia e Svizzera
partecipano ogni anno nel concorso “Donne al opera”
Solo i venti
scritti sono stati premiati e pubblicati.
Tra quelli, per
secondo anno consecutivo, il racconto “ L’ascensore”.
Concorso
- DONNE IN OPERA.
Il tema del
concorso: “IL CORPO RACCONTA”
I testi dovranno mettere in evidenza ed esprimere in senso artistico il significato
simbolico e culturale del corpo delle donne e raccontarne l’uso mediatico in
contrapposizione con il vissuto e l’esperienza quotidiana delle “donne reali”.
L’ascensore
Acrilico
su tela 50 x 50 - Daniela Karewicz
Come tante
donne coreane che sfuggono alla fame e alla
miseria del proprio paese, anche Yŏng divenne una vittima del traffico di
esseri umani.
Il suo corpo rientrava nello standard
richiesto dal mercato e molto presto fu comprata, moglie, da un industriale cinese per un modico prezzo
di 528 dollari.
Yŏng si alza ogni mattina un’ora prima del marito. Prepara
una complessa composizione floreale e la depone sul tavolino accanto alla
colazione. Poi torna in cucina per stirare una camicia, perché a lui piace
tanto metterla ancora calda!
Ogni sera fa un bagno profumato,
cosparge sul suo corpo oli balsamici e lo aspetta fin quando non torna dal
lavoro.
Un giorno il marito la chiama a
telefono per comunicarle che la multinazionale di cui è socio lo avrebbe
inviato a Milano, che sarebbero partiti insieme e che la loro partenza sarebbe
stata imminente.
Dopo questa notizia Yŏng si precipitò a
fare delle ricerche su Internet.
Mentre lei si eccitava a scoprire tutto su quella città dal nome così difficile
da pronunciare, lui si eccitava con la sua segretaria.
La mattina successiva mentre lui si
affrettava a lasciare il letto dell’amante, Yŏng si affrettava
a disdire i corsi all’Università dove studiava lingue.
Lo stava facendo per lui con la stessa
prontezza con cui, una volta interruppe una
gravidanza.
Si ricordava bene quando fu obbligata ad
abortire, lo fece perchè stava aspettando una bambina.
Era incinta da venti settimane quando
si recò in una clinica specializzata. La sala d’attesa era piena di disperate
come lei, ciò nonostante le operazioni si svolgevano con una certa velocità;
ogni venti minuti usciva dalla sala operatoria uno straccio di donna piegata in
due.
Una ragazzina che sembrava minorenne
cercava di consolarle.
Raccontò la sorte di sua sorella
incinta che era finita in carcere dopo aver ammazzato il suo compagno violento.
Poco dopo la nascita della bambina,
quando vide un'infermiera premere un asciugamano bagnato sulla faccia ancora
sporca di placenta, si era ripetutamente infilata le forbici nell’addome.
La bambina aveva smesso di piangere
dopo dieci minuti, sua sorella aveva smesso di urlare dopo mezzo ora.
Yŏng, una volta uscita dall’ospedale,
piegata anche lei in due, decise di telefonare al marito che con una voce
ansimante le ordinò di chiamare un taxi, perché
era impegnato.
Yŏng riconoscendo in sottofondo le
risate ed i gemiti della segretaria avrebbe voluto infilarsi, anche lei, le
forbici nell’addome.
La segretaria non era più bella di lei,
ma aveva la pelle più bianca, il naso
più sottile e gli occhi “diritti”.
In breve tempo anche la pelle di Yŏng
divenne alabastrina, il naso più lungo e alle sue palpebre aggiunse uno strato
di pelle.
Suo marito non si accorse di nulla.
A
Milano risiedevano in una lussuosa palazzina aziendale con l’ascensore.
La vita di Yŏng non era cambiata,
passava il suo tempo a dedicarsi alla casa, ad aspettare il marito e a curare -
per lui - il proprio corpo. Tutti i giorni applicava sul viso maschere
rigenerative, si depilava e si spalmava con balsami sbiancanti. Faceva anche
una dieta rigorosa a base di certe alghe orientali.
Una
mattina portando nello scantinato il bucato da lavare, vide sul pavimento
dell’ascensore un tanga a brandelli.
Si mise a piangere.
Aveva riconosciuto il tanga. Lo vedeva
spesso ad asciugare, insieme all’altra biancheria, sul balcone accanto.
Yŏng invidiava la sua vicina Cinzia,
soprattutto per la sua indipendenza. Ammirava anche il suo seno abbondante e le
lunghe gambe.
Si pentiva adesso di non essersi sottoposta,
quando era ancora in Cina, all’intervento per l’allungamento delle gambe.
A quel tempo le sembrava troppo
spezzarsi le tibie per guadagnare dieci centimetri in altezza.
Cinzia era cresciuta in una famiglia molto
agiata. Si era laureata in economia e commercio, conosceva quattro lingue ed
era molto ambiziosa.
Concludeva gli affari con una
sorprendente facilità. Era seria e allo
steso tempo esuberante e non esitava ad usare il proprio corpo come un mezzo
per ottenere maggiore successo.
Era troppo intelligente per non farlo.
I soldi che spendeva per gli interventi
plastici li considerava un investimento.
Di solito, le attenzioni dei clienti
cadevano sulle trasparenze che esaltavano il generoso décolleté
ricostruito, per seguire poi gli
abbondanti glutei siliconati. L’attraente ondeggiare dei lunghi capelli tinti e
il seducente broncio della bocca gonfia di collagene, completavano il quadro di una sensualità raffinata.
Sotto questo torturato cinismo, però,
si nascondeva una donna sensibile che sognava di trovare un amore puro, un
marito. Avrebbe voluto anche dei figli, ma forse più avanti... una gravidanza,
adesso, avrebbe potuto rovinare le sue forme perfette.
Quando ottenne l’incarico di
manager-marketing consumer per una multinazionale, si trasferì in una palazzina
aziendale a Milano.
I continui viaggi di lavoro le
impedivano di stringere rapporti o amicizie e in pratica la condannavano alla
sofferta solitudine.
L’unico contatto, anche se fuggitivo,
lo aveva con i suoi vicini di piano.
Di solito intravedeva nel giardino della
terrazza una bellissima coreana immersa spesso
in catartica meditazione.
La invidiava, sopratutto per la sua
devozione verso la casa e la famiglia.
Sempre sorridente, evocava un perfetto equilibrio tra corpo,
mente e spirito.
Incontrava suo marito, dispotico uomo di successo, durante le assemblee al primo piano della palazzina.
A riunione finita, prendevano
l’ascensore insieme... quella volta
voleva essere stuzzicato con i suoi sexy tacchi a spillo.
Lei si difese un po’ e lui le strappò
il tanga.
Il
giorno dopo si imbatté in ascensore con
la moglie di lui che scendeva in lavanderia. Era incinta di almeno otto mesi.
Con un braccio reggeva una cesta di
camicie di suo marito, con l'altra mano stringeva a sè i tre maschietti.
I
loro sguardi
si
incontrarono in un tacito segno d’intesa.
Da quel giorno Cinzia
decise di non prendere più l’ascensore...
Daniela Karewicz
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