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sabato 29 gennaio 2011

Ero un poeta

                          Sulla strada, coperta di neve grigia e sudicia,  apparve una strana figura.
Con le mani nelle tasche dei jeans spiegazzati, con passo lento e incurante, avanzava verso una piccola stazione.  Dal largo cappello nero uscivano lunghe ciocche che coprivano una parte della faccia slavata da ogni espressione. La nebbia sul suo volto,  come una maschera, celava  i segreti di un passato ignoto. L’occhio pallido cerchiato da un’ombra tenebrosa e una smorfia misteriosa sulla bocca rivelavano una vita burrascosa e dissipata.
Faceva molto freddo.
Il giovane entrò nella sala d’attesa, trovò un posto sulla panchina e si sedette. Con le mani tremanti, smaltate di blu, preparò una sigaretta arrotolando un tabacco odorante di profumi esotici. Aspirò il fumo con visibile apprensione e guardò i passeggeri  con gli occhi che non vedevano. Aprì una lattina di birra  e la bevve con piacere. Si sistemò comodamente, allungò le gambe e tornò alla sua assenza.
Con il buio, la stazione si svuotò. Il ragazzo raccolse la sua sacca e uscì dal retro.
Scavalcò un cumulo di spazzature, vecchi cocci e detriti.
Lungo la rampa scorreva una vena di fango putrido e  grasso. Saltò giù, pose il capello e la sacca per terra e si stese sui binari.
Ad un tratto sentì una rauca voce.
- Ei, hai una cicca?
Balzò di scatto. Il suo corpo respirava affannosamente.
In un fetido vincolo, tra le mura posteriori della stazione e i gabinetti pubblici, improvvisamente  lo vide. Se ne stava accucciato tra stracci e rifiuti. Un ciuffo di capelli sporchi si drizzava sulla bruna fronte incisa da profondi solchi.
-  Tanto, qui non passa per adesso nessun treno. Forse verso l’alba.  Senti,   vuoi bere con me un ultimo sorso?
Allungò la mano con la bottiglia fasciata in un giornale.
Il ragazzo si avvicinò a lui e si accasciò su un mucchio di cartoni puzzolenti.
Lo scrutavano un paio di esorbitanti occhi  immensamente afflitti o forse  solo arrossati da ubriachezza.
Una fetente coperta avvolgeva lo scarno corpo.  Dagli strappi  s’intravedeva un giaccone blu rattoppato con strisce di nastro adesivo. I guanti di lana erano in parte bruciati dalle sigarette.
- Di dove sei? – domandò il straccione.
- Che te ne frega. 
- Ehi, ehi, non ti arrabbiare. Nemmeno io sono di qui.   Allora, mi dai questa   cicca, o no. 
- Ho solo spinelli. Vuoi?
- Se non hai altro...intanto bevi. Che ci fai qui?
- Niente
- Ti è andata male, eh?
- No, mi annoio. Non ce la faccio più sta vita di merda.
- Beh, allora bevi ancora.
- Ho qualcosa di meglio, vuoi?
  Il ragazzo tirò fuori dalla tasca un paio di pasticche.
- Oh, sono rosa!
- Se non ti va il colore, tieni questa. Tu ti buchi?
- Come no,  ma ho solo siringhe usate.
- Io, di pulita, ne ho una solo. Ho anche la coca, ti va un tiro?
- No, ho sniffato poco fa, preferisco qualcosa di più forte stavolta. 
  Il ragazzo distese su un bidone uno sacchetto e un taccuino.
- Ma che fai, ti metti a scrivere proprio ora? non sei mica un poeta?
- Faccio presto, solo due righe, intanto comincia a preparare la roba.
- Ok, ma dopo scrivo qualcosa anch’io. Ma guarda un po’ chi mi è capitato.   Ma sai che una volta anche io ero un poeta?

            All’alba, le luci del treno illuminarono due immobili corpi nel retro della piccola stazione.
La polizia trovò accanto a loro una bottiglia di grappa vuota, un laccio emostatico e un taccuino con una sola poesia.

Sei apparsa all'improvviso
vestita di sorprese.
Tutta rosa
trasformatosi in blu
in silenzio
ti sei impossessata di me.

Sei  la mia eroina.
Dipendo da te.
Siamo inseparabili
io e te.

Dai documenti  il ragazzo risultava figlio unico di una famiglia borghese.
Nel suo braccio sinistro era infilata ancora la siringa,  l’altra mano impugnava un foglio con la scritta:

… stringo
al consumato e scheletrico braccio
il laccio emostatico.
Nel buio appaiono miraggi,
il cervello ormai è divorato, lo so
gli occhi si chiudono.
Non respiro.
Con un forte dolore al petto
il mio cuore smette di battere
… cominciai con un'innocente pasticca rosa
finii
a bucare le mie vene blu.

Ero un poeta.

La borsa del barbone conteneva tutta la sua vita: un pezzo di pane ammuffito, fiammiferi, un sudicio brandello di camicia macchiato di caffè e sangue, un consumato volume di poesie, una foto ingiallita di una donna e tre bambini, un diploma di laurea in lettere racchiuso in un sacchetto di plastica.  
Un piccolo foglio di carta si perdeva fra le siringe usate. Il poliziotto con fatica decifrava la scritta.

Sembrava un dritto
quel ragazzo
con cui mi ero diviso la siringa
… è stato così inebriante
farti sentire
scorrere in me.

                                                         
                                                Daniela Karewicz

  



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